Come previsto dall’Accordo di Parigi, la Cop28 ospita il primo stocktake sul clima, ossia il momento in cui si valuterà l’effetto congiunto di tutti gli impegni nazionali e si chiederà un aumento degli obiettivi nel caso in cui la pagella non risulti compatibile con gli obiettivi concordati a Parigi nel 2015

Tre sono i temi principali di questa COP: Il primo tema riguarda il sostegno ai Paesi in via di sviluppo nel rispondere agli effetti del riscaldamento globale. Il secondo riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. Il terzo e ultimo tema, strettamente collegato al precedente, riguarda la necessità di definire una roadmap chiara per ridurre drasticamente l’utilizzo di carbone, petrolio e gas.
L’Accordo di Parigi siglato da oltre 190 Paesi nel 2015 non impone a questi degli obiettivi vincolanti calati dall’alto, come era accaduto con la precedente esperienza, a scala ridotta, del Protocollo di Kyoto. Viceversa, si basa sulla trasmissione da Parte dei Governi firmatari al Segretariato delle Nazioni Unite di impegni volontari, definiti in assoluta autonomia, e chiamati Nationally Determined Contribution o NDC. Proprio grazie a questo tipo di approccio, che potremmo definire dal basso, è stato possibile nel 2015 trasformare quella che rischiava di essere la COP del fallimento definitivo in un successo, ottenendo un consenso che potremmo definire planetario sul primo vero accordo globale per il clima.
Però a questo punto nasce un problema. Come si fa a garantire che tutti questi impegni, presi in modo autonomo e su base volontaria, possano poi condurre a centrare l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale rispetto al periodo preindustriale al di sotto di 1,5 o al massimo 2°C? Ed ecco che entra in scena il primo global stocktake, ma che cos’è? Si tratta della verifica formale dell’effettiva coerenza tra gli NDC presentati dai Governi e la traiettoria che le emissioni globali di gas serra dovrebbero seguire per conseguire l’obiettivo dell’Accordo di Parigi. Nel caso in cui si verificasse un disallineamento, i Governi dovrebbero obbligatoriamente rivedere al rialzo le proprie ambizioni, ossia trasmettere nuovi NDC con obiettivi e target più sfidanti.
Il 14 novembre è stato reso pubblico il rapporto ufficiale con cui le Nazioni Unite hanno analizzato gli impatti attesi di 168 nuovi NDC che già sono stati rivisti al rialzo rispetto a quelli originali presentati nel 2016. Questi nuovi – e teoricamente rafforzati – impegni corrispondono al 95% delle emissioni globali di gas serra, quindi una quota decisamente rilevante. Quali sono gli esiti della valutazione? A livello globale, tra il 1990 e il 2019 siamo passati da circa 35 a 53 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra (e oggi abbiamo livelli di emissioni ancora più alte, nonostante la pandemia e la crisi energetica). Per rispettare una traiettoria compatibile con un riscaldamento globale di +2°C, nel 2030 non dovremmo superare le 39 miliardi di tonnellate di gas serra. Ma per rispettare il limite più stringente indicato nell’Accordo di Parigi, ossia un aumento di temperatura di 1,5°C rispetto al periodo preindustriale, sempre nel 2030 dovremmo stare attorno alle 30 miliardi di tonnellate. La valutazione di tutti i nuovi NDC, nella ipotesi che gli impegni e gli obiettivi in essi contenuti vengano tutti realizzati, porta al 2030 a emissioni globali comprese tra 48 a 55 miliardi di tonnellate di gas serra.

In merito al tema che riguarda la necessità di definire una roadmap chiara per ridurre drasticamente l’utilizzo di carbone, petrolio e gas.Un altro recentissimo report, sempre promosso dall’Unep, ha svelato una scomoda verità: nonostante in molti casi abbiano presentato obiettivi di azzeramento delle proprie emissioni di gas serra, i 20 più importanti Paesi produttori di combustibili fossili hanno programmi di sviluppo della produzione di carbone, petrolio e gas del tutto incompatibili con l’Accordo di Parigi, che al 2030 porterebbero queste Nazioni a produrre in un anno il doppio dei combustibili fossili che potremmo materialmente consumare.
Detta in un altro modo, per rispettare gli impegni sottoscritti a Parigi, gli NDC presentati dai Governi di tutto il mondo e in discussione alla, COP28 di Dubai, dovrebbero portare al 2030 a un taglio delle emissioni attuali (in realtà 2019) compreso tra il 30% e il 43%. In realtà, secondo la valutazione delle Nazioni unite, nella peggiore delle ipotesi ad un aumento del 5% delle emissioni climalteranti, nella migliore ad un taglio del 9%, con un aumento della temperatura media globale nel secolo in corso che invece di essere compreso tra 1,5 e 2°C, potrà arrivare a sfiorare i 3°C.
2 dicembre 2023
M. A. Melissari
Lo stato dell’arte – Clima
Fonte: Italy for Climate