Burger vegetali: come scegliere tra i diversi prodotti

Sostituire la carne con un prodotto di origine vegetale: sempre più persone, anche quelle che la amano, si stanno avviando in questa direzione, magari alcuni solo in un’ottica di bilanciamento della dieta tra proteine animali e vegetali, altri per esigenze di salute o per scelta ecologica/etica o perchè decisamente vegetariani per gusto. Il consumatore insomma è sempre più attento: dall’edizione 2018 del Rapporto Coop sui consumi degli italiani emerge infatti che “un italiano su cinque dichiara di seguire una dieta biologica o salutistica, ricca di verdura, frutta e povera di carne e zuccheri”.

Le ricette di gran parte dei nutrizionisti infatti vedono una quota elevata di alimenti di origine vegetale a scapito di quelli animali, la cui produzione peraltro comporta un forte impatto sull’ambiente: la FAO riporta che il 70% di tutti i terreni agricoli sono destinati a pascolo o alla produzione di foraggio per gli allevamenti che contribuiscono con un robusto 14,5% all’emissione dei gas serra su scala globale. Chi è mosso da principi etici e vuole ridurre al minimo le sofferenze e lo sfruttamento degli animali si orienta di solito verso le scelte più rigorose. Di conseguenza i prodotti alimentari sostitutivi della carne sono sempre più diffusi anche nei supermercati e si registrano tante nuove offerte, in particolare di burger vegetali, le cui vendite generano un terzo del fatturato del mercato “vegetariano” nella grande distribuzione, con 39 milioni di euro su 120 totali. Si possono intuire i motivi che stanno alla base della crescita di questo specifico prodotto rispetto agli altri: assomigliano nell’aspetto al burger classico, entrato ormai da tempo nelle abitudini di consumo; si avvicinano nel gusto molto di più rispetto ad altri cibi sostitutivi; la preparazione è veloce e richiede meno cure di altri alimenti sostitutivi.

L’offerta è perciò sempre più ampia perché nascono continuamente nuovi tipi di burger e orientarsi può non essere facile, soprattutto per il neofita.
La composizione varia notevolmente: nella maggior parte dei casi i burger sono completamente privi di ingredienti di origine animale, ma alcuni contengono formaggio o albume d’uovo. Alcuni burger sono a base di verdure, altri di legumi come piselli, lenticchie o fagioli (e hanno un buon apporto di proteine) e altri di proteine del grano (il seitan). Nei casi più frequenti la componente proteica è fornita da farina o polpa di soia. Per dare consistenza e un sapore più gradevole, le polpette hanno spesso aromi, addensanti e stabilizzanti e, a volte, sono preparate con troppi grassi. Da un’analisi condotta da Il Fatto Alimentare, il burger vegetariano Io Veg (La Brujita), a base di proteine di grano, ne contiene il 19%, come pure i burger biologici Coop a base di farina di soia ristrutturata e reidratata; ma si arriva al 23% per il i burger di soia e ceci a marchio Pam. Le polpette Coop e Pam sono prodotte da Kioene, azienda leader del settore in Italia, che produce anche per Esselunga: questi ultimi però, sempre a base di farina di soia ristrutturata e reidratata, contengono l’8% di grassi e il 16% di proteine, quindi sono abbastanza bilanciati da un punto di vista nutrizionale. Sugli scaffali si trovano anche burger più “magri”, come quelli marchiati “Cottintavola”Riverfruit a base di verdure, che contengono 0,5 g di grassi e 4,2 g di proteine per 100 g, e assomigliano più a un contorno che a una pietanza. Chi fa questa scelta per motivi salutistici deve quindi fare attenzione alle etichette.
Se un burger costituisce la componente proteica del pasto, deve fornirne una quantità apprezzabile senza esagerare con i grassi che, sebbene siano prevalentemente insaturi e poiché vegetali non contengono colesterolo, non dovrebbero superare quota 20%.

L’indagine, oltre alla composizione, ha riguardato anche i prezzi. La soia e il grano sono materie prime certamente più economiche della carne, nonostante ciò i listini dei burger vegetali si avvicinano molto a quelli della carne, e spesso sono più cari. Sul sito Coop gli hamburger di bovino adulto costano circa 13 €/kg, quelli di soia biologici a marchio Coop arrivano quasi a 16 €/kg, i burger Granarolo (a base di soia) costano circa 15, mentre il prezzo dei prodotti a base di lenticchie del marchio Garden gourmet (Nestlè) lievita sino a quasi 22 €/kg. Nei supermercati Esselunga, l’hamburger “basico” di bovino adulto in confezione da quattro pezzi viene venduto a 10 €/kg, mentre le polpette vegane con il marchio della catena costano 12,5 €/kg, i burger Kioene 15, quelli Zerbinati (a base di verdura), 12,7 €/kg, i Sojasun (a base di farina di soia) circa 16, quelli marchio Aia (con cereali, uovo, formaggio, glutine…) 19 €/kg, e quelli a marchio La Brujita 26,7. In un punto vendita specializzato, come NaturaSì, il costo nella maggior parte dei casi supera i 20 €/kg, anche perché gli ingredienti hanno sempre la certificazione biologica.
Il motivo della maggiorazione di prezzo va cercato nel fatto che il costo di alcune materie prime è spesso equivalente a quello di una carne di qualità medio/alta utilizzata per gli hamburger tradizionali. Tuttavia i costi maggiori riguardano il processo di lavorazione e la tecnologia in continua evoluzione, perché i burger vegetariani di oggi sono parenti lontani rispetto a quelli di pochi anni fa. Lavorare proteine vegetali come la soia e renderla appetibile richiede un contributo tecnologico di altissimo livello, e notevole esperienza. I burger, come altri alimenti vegetariani, sono effettivamente prodotti in continua evoluzione: nuovi progetti sono allo studio di molte aziende, nazionali e non, per migliorare il profilo nutrizionale mantenendo una qualità organolettica elevata.

I burger “alternativi” più all’avanguardia restano comunque di produzione statunitense, preparati con “carne finta”come quelli proposti dalle aziende americane Impossible Foods e Beyond Meat . Questa “simil carne” è frutto di ricerche che hanno richiesto notevoli investimenti. Il prodotto non è pensato per i vegetariani, che potrebbero essere disturbati dal sapore simile a quello della carne, ma per soddisfare la richiesta dei consumatori, soprattutto americani, che amano molto la carne, in un prossimo futuro in cui la domanda aumenterà e gli allevamenti intensivi non saranno “sostenibili”. Nei burger di Impossible Foods le proteine provengono da grano e patata, mentre i grassi sono di cocco.
I prodotti contengono il gruppo “eme” estratto da una proteina della soia, ricco di ferro, che conferisce un sapore vicino a quello della carne vera. Beyond Meat utilizza di farina di piselli come fonte proteica, i grassi sono quelli dell’olio di cocco e di canola, mentre il colore rosso è dato da succo di barbabietola. Per migliorare sapore e consistenza sono presenti aromi e stabilizzanti come cellulosa di bambù, metil cellulosa e glicerina vegetale. Queste polpette, negli Usa, sono vendute al supermercato, mentre nel nostro Paese si trovano nei ristoranti della catena Welldone Burger (hamburgerie gourmet), in panini “semplici” oppure “farciti”nello stesso modo e con gli stessi ingredienti degli hamburger di carne, e allo stesso prezzo: 9,90 euro e 13,50 euro per le due tipologie. Questi burger inoltre sono le novità che rappresentano una notevole fonte di guadagno per le industrie alimentari e attraggono investimenti importanti, come quello di Bill Gates che è tra i finanziatori di Impossible Food e di Beyond Meat.
In anni più recenti anche marchi come, Findus, Orogel, Granarolo e Beretta hanno iniziato a produrre “sostituti della carne”, che sembrano destinati ad essere sempre più presenti sulle nostre tavole. Rimanendo negli USA, il sindaco di New York Bill de Blasio, ha di recente messo al bando la carne. La prestigiosa rivista medica The Lancet sottolinea la necessità di iniziare un’ampia discussione pubblica sul ruolo della carne. Il tema è la necessità di limitarne il consumo, soprattutto di quella rossa proveniente da allevamenti intensivi, per salvaguardare la salute e l’ambiente. Questo è necessario per garantire a tutti l’accesso alle proteine nobili, alle vitamine e al ferro che sono contenuti in particolare, anche se non esclusivamente, nella carne. Per raggiungere un risultato così ambizioso, una diffusa educazione alimentare dovrebbe ottenere che nei Paesi occidentali la carne sia sempre più spesso sostituita da piatti più sostenibili, a base di cereali e legumi. Anche la “carne finta” in questo senso può essere interessante, per chi non può farne a meno, a patto che la composizione nutrizionale sia correttamente bilanciata e non contenga troppi grassi.

di Marina Melissari

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