
Da qualche anno a questa parte il mondo della comunicazione sta veicolando un messaggio che, senza accorgercene ed in modo molto sottile e quasi subdolo, dapprima si è insinuato al disotto della soglia della nostra coscienza e, successivamente con una accelerazione repentina ed impercettibile, si è imposto come un must. Dobbiamo tutti essere “smart” e lo siamo veramente quando riusciamo a fare bene le cose, muovendoci in modo veloce, sul piano sia fisico che mentale.
Senza velocità non si è “tipi smart”, e non si è smart se non si è veloci.
Se, per un verso, questo mantra è funzionale all’evoluzione della specie umana perché solletica e sollecita il nostro senso di adattamento ad un habitat globale in continua trasformazione tecnologica, per altro verso ci costringe ad uno stile di vita che privilegia l’accelerazione in ogni singolo aspetto esistenziale. Tutto viene visto, pensato e, soprattutto, vissuto con grande velocità: il lavoro, il tempo libero, i rapporti umani e persino il divertimento. Tutto si consuma rapidamente come se il tempo fosse un contenitore infinitamente elastico, all’interno del quale stivare un sempre maggior numero di cose ed esperienze.
In questo stile di vita, vi è un enorme cono d’ombra di cui raramente ci accorgiamo. E, cioè, che per stare al passo, finiamo per lasciare sottotraccia i processi mentali che sottendono le cose che facciamo. Inoltre, poiché lo scopo è arrivare brevemente e bene al termine delle cose da fare e da vivere, agiamo in modo quasi inconsapevole, lasciando ovunque gli scarti di questo lavorìo semicompulsivo.
Si tratta di un’onda d’urto che colpisce i rapporti umani (quante volte ci capita di perdere per strada persone che non sanno essere smart, a svantaggio della nostra parte emotiva) così come , ad esempio, l’alimentazione. Fermiamoci un poco, ma almeno più spesso! Cominciamo a pensare alla quantità di cibo che consumiamo velocemente ed a quello che gettiamo. Nell’ansia di soddisfare la spinta atavica a vivere nell’abbondanza; nel desiderio di provare l’ultimo prodotto la cui digestione ci viene garantita veloce ed ipocalorica; nel rassicurante dondolìo psicologico che l’equivalenza “frigo pieno = non indigenza” ci offre, ricordiamoci che quantità enormi di cibo finiscono nei cassonetti.
Ciò accade perché la veloce spinta emotiva che ci guida nell’acquisto tende a soddisfare, in modo efficiente, l’istinto primario alla sopravvivenza. Basterebbe soffermarsi un momento e porre attenzione a questo processo mentale inconscio, per comprendere che per essere veramente “smart” occorre scendere dalla giostra dei sapori, suoni e colori, e riprendere contatto con la realtà. Solo così possiamo comprendere che viviamo in un mondo fisico non infinito, bensì regolato da leggi fisiche e antropologiche che determinano il grado di tollerabilità di ogni fenomeno. È sempre più impellente, secondo il nostro punto di vista, comprendere la necessità di riflettere su ciò di cui abbiamo veramente bisogno per vivere bene. È importante, infatti, per il nostro benessere mentale, e quindi anche corporeo, riuscire a stabilire un equilibrio tra noi e la realtà ambientale in cui viviamo, così da rendere sostenibile la nostra esistenza, come singoli e come collettività.
Non è intelligente e pronto chi realizza bene e rapidamente qualcosa.
Lo è, invece, chi compie fruttuosamente un’azione, utilizzando tutto il tempo di cui abbisogna la buona ponderazione di quella stessa azione.
Questo vale tanto per l’ascolto di un nostro simile, nelle sue gioie e nelle sue difficoltà, quanto davanti ad uno scaffale del reparto alimentare.
Vivere “slow”, in ascolto, rafforza le nostre capacità empatiche, nutrendoci il cuore ed il cervello. Vivere “slow” il momento della spesa, ci consente un consapevole approvvigionamento ed una razionalizzazione di fondamentali risorse, a vantaggio di altri esseri umani e dell’ambiente. A.B.