Agricoltura, ambiente e abbigliamento: tessuti naturali e colori ricavati dagli scarti agricoli
di Riccardo Milozzi, Presidente CIA Roma
Il fashion agricolo inizia a farsi spazio in un mondo, quello della moda, che sta virando verso una sostenibilità più convinta. Ed è tempo perché l’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo, responsabile del 20% dello spreco globale d’acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica e che sforna, tra l’altro, materiali sintetici e derivati dal petrolio in quantità. Una maglietta richiede, in media, 2.700 litri d’acqua per essere prodotta, un jeans fino a 10.000 litri, utilizzando soprattutto fibre e coloranti di sintesi.
L’Associazione Donne in Campo, Associazione italiana delle imprenditrici e donne dell’agricoltura e componente della Confederazione Italiana Agricoltori, ha appena presentato il marchio di filiera “Agritessuti”, progetto che coniuga agricoltura, ambiente e abbigliamento: tessuti naturali e bio come lino, canapa e gelso da seta o ricavati da eucalipto e faggio, filati di cipresso, pelle di fungo, bucce d’arancia e filati tinti con colori ricavati dagli scarti dell’agricoltura, come foglie dei carciofi, scorze del melograno, bucce di cipolla, residui di potatura di olivi e ciliegi, ricci del castagno.
Si tratta di una sfida che risponde prima di tutto alle richieste dei consumatori: la domanda di capi sostenibili in Italia, infatti, è cresciuta del 78% negli ultimi due anni e oggi il 55% degli utenti è disposto a pagare di più per un capo che sia amico dell’ambiente. Agritessuti è un possibile punto di partenza della filiera tessile Made in Italy 100% ecosostenibile e spesso declinata al femminile, in linea ad esempio con le sollecitazioni che l’Onu ha affidato all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sollecitando la costruzione di nuovi sistemi di produzione a minor impatto ambientale e con un ruolo positivo nei processi di riduzione dell’inquinamento, nel riciclo delle risorse e nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
Secondo le ultime stime presentate da Pina Terenzi, Presidente di Donne in Campo-CIA, la nuova filiera degli Agritessuti può coinvolgere le oltre tremila imprese produttrici di piante officinali tra le quali diverse sono anche tintorie. A queste si aggiungano le duemila aziende agricole oggi impegnate nella produzione di lino, canapa, gelso da seta, i cui filati sono già oggi spesso sottoposti a tintura a basso impatto ambientale, producendo un fatturato di quasi 30 milioni di euro con le attività connesse. Questi dati dimostrano che è possibile creare una filiera italiana del tessile, 100% ecosostenibile, realizzata con tessuti naturali e tinture green ottenute da prodotti e scarti agricoli. Se la filiera degli Agritessuti fosse incoraggiata, questa cifra potrebbe triplicare già nel prossimo triennio. Per questo è necessario svilupparla, dando vita a tavoli di filiera dedicati presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, a sostegno della produzione di fibre naturali, a cui andrà affiancata la creazione di impianti di trasformazione, diffusi sul territorio e in particolare nelle aree interne, per mettere a disposizione dell’industria e dell’artigianato un prodotto di qualità, certificato, tracciato e sostenibile.
L’impegno sarà valorizzare il lavoro agricolo e creare reti. L’obiettivo è arrivare a chiudere il cerchio della filiera al fine di riuscire a produrre reddito per gli agricoltori e per tutti gli operatori della rete.