Spreco alimentare: azioni per combattere inefficienza ed eccessi di produzione

Produrre il cibo che noi sprechiamo richiede terra, acqua, manodopera e altre risorse preziose: 3% del consumo di energia, 1,2 miliardi di metri cubi di acqua dolce sprecata, 230.000 tonnellate di azoto immesso nell’ambiente. Il costo economico di questo spreco è stimato in 13-16 miliardi di euro. Secondo l’ultimo report della FAO “The State of Food and Agricolture”, a livello globale circa il 14% degli alimenti va perso dopo il raccolto e ancor prima di arrivare alla vendita al dettaglio, nel corso delle operazioni svolte nelle aziende agricole, in fase di stoccaggio e durante il trasporto.
Lo spreco alimentare è una delle principali fonti di gas serra per circa 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2), ma anche sotto forma di metano, un inquinante almeno 25 volte più potente dell’anidride carbonica. Secondo una valutazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), il 7% di tutti i gas serra globali è associato alla produzione di rifiuti alimentari.
Per queste ragioni è urgente affrontare la questione dello spreco alimentare, emerso ormai come uno dei principali problemi ambientali e socio-economici che l’umanità si trova ad affrontare. Come dice chiaramente l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, non si può immaginare di affrontare i grandi temi globali come la fame, la giustizia sociale, i cambiamenti climatici e la perdita di integrità biologica del pianeta, senza affrontare contemporaneamente la questione delle perdite e dello spreco degli alimenti. In considerazione della dimensione ambientale delle perdite e dello spreco degli alimenti, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha deciso di approfondire il tema, studio che ha prodotto una serie di risultati, tra cui un recente rapporto in cui sono presentati nuovi dati su varie forme di spreco alimentare (di cui abbiamo scritto nel numero precedente) e che approfondisce la necessità di ‘prevenzione strutturale’ dello spreco. Lo studio evidenzia la necessità di perseguire la strategia dell’autonomia alimentare al fine di evitare gli effetti complessi che legano lo spreco agro-industriale all’insicurezza alimentare nei paesi in sviluppo e nelle fasce a minor reddito degli stessi paesi sviluppati. Bisogna infatti notare che l’Italia si trova in condizioni di “non autosufficienza” alimentare: con un consumo di suolo agricolo/naturale e un abbandono rurale in continuo aumento, un deficit di suolo agricolo che è il quinto più grande nel mondo, la conseguenza è un tasso di auto-approvvigionamento alimentare inferiore all’80% e per alcune produzioni anche sotto il 50-60%.

La maggiore efficienza delle filiere corte, locali, biologiche
Dall’analisi in dettaglio delle cause e condizionamenti lungo le filiere emerge che lo spreco è in larga parte determinato dalla struttura caratteristica delle filiere e dal basso valore degli alimenti che non considera i costi ambientali e sociali. Nelle filiere corte, locali e biologiche (vendita in azienda, mercati e negozi degli agricoltori) lo spreco è mediamente 3 volte inferiore a quello dei sistemi convenzionali; in reti alimentari ancor più capillari, su base ecologica, locale, solidale e di piccola scala, lo spreco arriva a essere circa 8 volte inferiore. È quindi necessario facilitare la diffusione di queste innovazioni come principale misura di prevenzione dello spreco. Si tratta in particolare delle produzioni agro-ecologiche di piccola scala (più durevoli e che forniscono più nutrienti), dell’agricoltura contadina connessa ai mercati del territorio, delle reti solidali e cooperative tra produttori e consumatori. Anche per via dei minori sprechi, questi sistemi hanno prestazioni ambientali e sociali indubbiamente superiori.
Efficienza tecnologica, recupero e riciclo sono utili per evitare la formazione di rifiuti e sviluppare una bio-economia circolare sostenibile. D’altra parte ISPRA individua la principale priorità nella prevenzione strutturale per ridurre a monte la formazione di eccedenze, i conseguenti sprechi alimentari e gli impatti negativi, anche per evitare effetti complessi di sostituzione, copertura e ritardo che possono rinforzare la produzione di eccedenze. L’Obiettivo 12.3 per lo sviluppo sostenibile invita tutte le nazioni a dimezzare gli sprechi alimentari e ridurre la perdita di cibo entro il 2030. Non ci sono soluzioni semplici contro lo spreco: queste possono infatti far parte di un approccio complesso ed essere diversificate a seconda delle caratteristiche dello spreco.

Nello studio ISPRA sono trattate varie proposte di prevenzione strutturale: pianificazione di modelli alimentari sostenibili di produzione, distribuzione e consumo; acquisti pubblici “verdi”; politiche alimentari locali sistemiche e partecipate; educazione alimentare e nutrizionale; supporto alle reti alimentari locali, di piccola scala, ecologiche, solidali; tutela dell’agricoltura contadina e accesso alla terra; agro-ecologia in aree rurali e naturali, valorizzazione dell’agro-biodiversità; sviluppo dell’agricoltura sociale, urbana e in aree soggette ad abbandono; contrasto agli illeciti nell’agroalimentare; approfondimenti sul campo delle ricerche; ruolo attivo dei cittadini per comunità resilienti e in rete.
I dati indicano che per rientrare nelle capacità ecologiche e sociali è necessario ridurre strutturalmente gli sprechi alimentari sistemici ad almeno un terzo dell’attuale nel mondo, un quarto in Italia, intorno al 15%. Fondamentale è avvicinare produttori e consumatori, riconoscendo il diritto al cibo come bene comune inalienabile e un suo maggior valore culturale, sociale ed economico, evitando spettacolarizzazioni perverse ed eccessi commerciali che creano spreco e disuguaglianze, garantendo così condizioni condivise, eque e sostenibili di produzione e di accesso al cibo.

La collaborazione tra gli enti interessati delle filiere è fondamentale: al fine di prevenire gli sprechi, i governi, le agenzie e le organizzazioni pubbliche devono mettere in campo approcci collaborativi per trasformare la struttura dei sistemi alimentari e aiutare a cambiare la mentalità delle persone, scoraggiando le pratiche che portano allo spreco e favorendo le buone pratiche da parte di agricoltori, imprese e cittadini.
Alcuni segnali sono promettenti. I Paesi che hanno fissato obiettivi specifici di prevenzione e riduzione dello spreco coprono circa il 28% della popolazione mondiale. Allo stesso tempo, quasi il 60% delle 50 più grandi aziende alimentari del mondo ha fissato degli obiettivi per ridurre le perdite e gli sprechi alimentari. Oltre il 10% delle 50 maggiori aziende ha ora programmi attivi per sprecare meno cibo. Inoltre sta aumentando sempre più la diffusione dei sistemi alimentari locali, ecologici, solidali e di piccola scala. Nel frattempo, le iniziative sono decollate nell’Unione Europea, negli Stati Uniti, in Giappone e in altri paesi dove aumentano le collaborazioni tra pubblico-privato, società civile, politiche governative e campagne volte a ridurre gli sprechi alimentari. Viceversa solo pochi Paesi, che rappresentano il 7% della popolazione mondiale, attualmente misurano e riportano pubblicamente dati e informazioni su quanto cibo è sprecato all’interno dei propri confini.
Queste ultime cifre sollevano la domanda: il mondo può davvero dimezzare lo spreco di cibo entro il 2030? La risposta può essere positiva, ma solo se molti altri governi e aziende stabiliscono obiettivi ambiziosi, misurano lo spreco e intervengono per prevenirlo e ridurlo. È molto importante l’impegno dei cittadini. Aiutare le persone a cambiare le loro abitudini richiede tempo e una serie di approcci diversi: ad esempio cambiare modi di fornitura, ridurre i fabbisogni complessivi o seguire diete con meno derivati animali, grassi insalubri, sali, zuccheri. È anche fondamentale avere l’impegno dei produttori e di molti altri portatori di interesse. Questa Fase 2 della pandemia rappresenta un buon momento per avviare questi difficili processi di cambiamento, in considerazione del fatto che il Covid19 ha già significativamente modificato molte delle abitudini consolidate dei cittadini consumatori. Ma bisogna fare presto, affinché alcune di queste modifiche dovute alle restrizioni diventino una visione duratura che generi comportamenti e stili di vita più sostenibili. Ora è il momento di riconoscere e trasmettere con le azioni che abbiamo una responsabilità collettiva di agire e che ognuno di noi è e deve essere parte della soluzione.

di APS Litorale Nord

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