
Adiantum capillus-veneris. Il capelvenere era un vero mistero per i botanici perché non fa né fiori né frutti. Poi tre secoli fa qualcuno capì che si trattava di una felce trovando le spore sulla pagina inferiore delle foglie.
Il nome deriva dal fatto che le foglie non si bagnano immerse nell’acqua come la chioma di Venere, la Dea nata asciutta dalle acque. É una pianta molto citata in letteratura, Pavese la amava molto, forse perché frequente nelle sorgive delle langhe, ma anche Hesse. È legata alla storia degli argonauti ed alla ninfa Driope. Crescendo in luoghi ombrosi e umidi e consacrata a Plutone. Rappresenta simbolicamente il Segreto, la Modestia e la Discrezione anche a causa delle sue abitudini di crescita. Un tempo era molto comune, ma essendo molto esigente in fatto di habitat oggi é molto meno diffusa e resiste ancora solo in zone ombrose, all’imbocco di grotte umide e comunque vicina all’acqua.
Ha ottime proprietà espettoranti e fluidificanti, é efficace contro la caduta dei capelli, ed ha una leggera azione cicatrizzante.
Un tempo (XVII° secolo) lo sciroppo di capelvenere, mischiato al te ed al latte caldo, componeva una bevanda molto apprezzata che prendeva il nome di bavarese.
Come molte piante dedicate alla Dea non ci si deve stupire se qualche volta la troviamo nominata con appellativi mariani. Nel XII° secolo aveva visto la luce una schiera di filosofi cristiani a Chartres che aveva rielaborato la nozione di natura incorporandovi tanti aspetti della Grande Madre precristiana. Fu qui che la Madre Natura di Bernardo Silvestre, Teodorico di Chartres e Guglielmo di Conches andò sempre più assumendo l’aspetto della Madonna, incorporata di molti degli attributi dei culti femminini precristiani. Diana e Iside donarono la loro falce di luna, Artemide le spighe ed anche le piante cambiarono nome così il capelvenere venne ribattezzato capelli della Madonna.
Massimo Luciani – Etnobotanica
15 gennaio 2022
Storie di alberi e piante