Molto longevo e caratterizzato da una crescita rapida, è una pianta bellissima capace di produrre frutti autunnali dal sapore particolare e ricercato e di dare brio agli spazi verdi con giochi di colore che durano tutto l’anno

Arbutus unedo. Il Corbezzolo o Albatro é una bella pianta arbustiva che fiorisce alla fine dell’autunno di piccoli fiori bianchi a campanella. Contemporaneamente sulle sue fronde maturano i bei frutti rossi la cui polpa gialla ha sapore lievemente acidulo. Quest’albero non perde mai le foglie, di un bel verde scuro, così, in inverno su di esso insistono il candido bianco, il rosso carico ed il verde intenso; é per questo che nel risorgimento assurse a simbolo patriottico italiano.

[…] L’eroe Pallante era caduto.
Offerse l’àlbatro (il corbezzolo)
il bianco de’ suoi fiori, il rosso
delle sue bacche e le immortali frondi.
Gli fu tessuto il letto di quei rami
de’ tre colori, e furono compagni
mille al fanciullo nel ritorno a casa.
E fisi in quella bara tricolore
i mille eroi con le possenti mani
premean le spade; ed era in esse il fato. […]»
Giovanni Pascoli, Inno a Roma
Plinio ne scrisse, nomandolo “unedo”, ossia “uno” e “edo”, che se ne mangia uno solo, alludendo al fatto che non sia un frutto particolarmente appetito, mentre Ovidio nelle metamorfosi lo cita come frutto dell’eta dell’oro della terra:
Libera, non toccata dal rastrello, non solcata
dall’aratro, la terra produceva ogni cosa da sé
e gli uomini, appagati dei cibi nati spontaneamente,
raccoglievano corbezzoli, fragole di monte,
corniole, more nascoste tra le spine dei rovi
e ghiande cadute dall’albero arioso di Giove.»
.. Ovidio. Metamorfosi, I, 89-112
Il corbezzolo non ha usi industriali, ma é etnobotanicamente molto usato. I frutti venivano conservati in confetture, fermentati in vino, caramellati a farne canditi. Il legno era molto apprezzato per l’aroma conferito alle carni, arrostite su di esso.
Nel Conero, il cui nome deriva dalla parola greca per corbezzolo (Komaros), si festeggiava un rito pagano, poi cristianizzato il 28 ottobre, data nella quale ci si recava insieme nella macchia, inghirladati di tralci e fiori a far manbassa dei rossi frutti. Si produceva il vino di corbezzolo e “l’arbuto del monte”; un liquore macerato, di frutti in acquavite.
Il miele di corbezzolo é una vera rarità, (fiorendo così avanti nell’autunno, i pronubi ancora attivi sono pochi) ed é molto apprezzato per il suo particolarissimo sapore, amarognolo e delicato.
Il corbezzolo é habitat esclusivo per la farfalla Charaxes jasius, le cui larve si nutrono delle foglie, mentre l’adulto, dei fluidi zuccherini del frutto.
Il frutto del corbezzolo può essere consumato quando ha raggiunto la piena maturazione, generalmente tra fine ottobre e dicembre. La parte esterna assume una colorazione rosso intenso, mentre la polpa è gialla. Si mangia con la buccia, come fosse una fragola, ma può anche essere inserito in macedonie, essere messo sotto spirito o trasformato in marmellata.

Mia nonna chiamava i frutti “armotoli” e ricordo che andavamo a volte, in autunno a raccoglierli. Erano belle uscite perché si raccoglievano anche il mirto, le more, le bacche del ginepro e della rosa canina.
Ma il bosco creato da questo arbusto assieme all’erica, sua parente stretta, alla ginestra, al mirto ed al lentisco é difficile da praticare, intricato fino al suolo e in molti tratti impenetrabile.
Per fortuna, i cinghiali aprono spesso vie in queste boscaglie e le tengono pulite con ripeturi e continui passaggi, che anche a noi, permettono l’accesso nell’intrico.
Così mi infilavo in questi cunicoli verdi per riemergere dove i frutti erano più maturi, ma sempre a portata di voce, per non far preoccupare la nonna.
Massimo Luciani – Etnobotanica
20 novembre 2022
Storie di alberi e piante