Nel pane la storia e la magia dei nostri territori

di Marina Melissari

L’impasto di acqua e cereali macinati tra due pietre e cotto su una pietra rovente è stato il primo pane della storia. Secondo un gruppo italiano di ricercatori, che ha pubblicato la notizia sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti nel 2017, l’uomo lo inventò 30.000 anni fa. «Il pane è alla base della storia dell’uomo, è il primo alimento di una grande tavola, è condivisione, incarna in sé la storia dei popoli, dei loro usi e costumi e della loro sacralità. È un elemento prezioso» dice Antonio Cera, titolare del forno Sammarco. Laurea in Economia alla Bocconi, forno a San Marco in Lamis in Puglia, a due passi dalla Grotta di Paglicci dove è stata ritrovata la farina più antica del mondo risalente a 32 mila anni fa, ideatore di un movimento e del Manifesto futurista del pane, pubblicato due anni fa, il cui obiettivo principale è creare una cultura del pane sia in chiave gustativa, sia nutrizionale. Un pane che deve tornare all’artigianalità.

Il nostro è il Paese che ha un tipo di pane diverso in ognuno degli 8000 Comuni, anzi in ogni frazione di ogni Comune. Purtroppo, però, la cultura della panificazione è divenuta sempre meno importante. Capita sempre più spesso che anche negli alberghi a quattro stelle, venga servito il solito panino del quale non si conosce la provenienza: si tratta di pane che non crea emozione, né cultura.

Secondo Antonio Cera la contaminazione è cominciata negli anni 80 con l’avvento dei “paninari”, perché in quel momento non si è più riconosciuto nel pane un elemento da valorizzare, fino a farne perdere l’identità. Poi ha cominciato a prendere piede la produzione industriale ed è stato abbandonato l’utilizzo del grano coltivato e molito in un determinato modo perché, sbagliando, i panificatori italiani hanno deciso di andare in concorrenza con l’estero,invece di puntare sull’artigianalità della produzione e nella diffusione di cultura.

Per ottenere un pane buono per la salute e buono da mangiare, Il manifesto per il futuro del pane perciò indica  una serie di condizioni che, una volta utilizzate in continuità, conferiscono al percorso di panificazione il valore di un vero atto “magico”. Il primo indispensabile fondamento della panificazione ideale è la cura, il rispetto e la tutela delle caratteristiche vitali dei terreni agricoli, dove tutelare e sviluppare le diverse varietà, che rappresentano .Per ottenere un pane “pulito” e vitale le tecniche di coltivazione consigliate partono dal livello minimo corrispondente all’agricoltura biologica, per raggiungere l’optimum con l’agricoltura biodinamica e la permacoltura. Per le sementi e le varietà, la cui molteplice diversità è patrimonio peculiare e valoriale del territorio italiano, il ricorso ai grani italiani autoctoni, meglio se da antica semente e quindi caratterizzati da un minore tenore glutinico, garantisce un impatto meno aggressivo sulla salute dei consumatori con particolare riferimento alla maggiore tolleranza immunitaria orale ai cereali e alla migliore qualità digestiva. L’utilizzo di farine derivate da questi grani assicura inoltre un alto valore di gusto, sapore e profilo nutrizionale. Favorisce, infine, il recupero delle memorie sapienziali di lavorazione e dei riferimenti culturali territoriali.

Fondamentale è anche il ricorso a farine con caratteristiche integrali o semintegrali (dalla tipo 1 alla integrale) che garantiscono il mantenimento di valide quantità di germe in grado di assicurare un alto contenuto di fibre insolubili (cellulosa, etc.) e solubili, vitamine del gruppo B ed E, oligoelementi e minerali, acidi grassi polinsaturi omega3 e omega6, etc. Con l’obiettivo di garantire al consumatore sicuri fattori di promozione del benessere e della longevità quali alta densità nutrizionale, efficienza digestiva, corretta evacuazione, tutela della salute del microbiota intestinale e prevenzione dell’insorgenza di patologie croniche. Al bando l’utilizzo di miglioratori da parte di chi impasta e di altri prodotti per rendere l’impasto lavorabile più facilmente, oppure che diano durabilità al pane e digeribilità, caratteristiche che si possono ottenere naturalmente con una corretta panificazione.

Cera raccomanda anche l’utilizzo del lievito madre fresco in grado di ridurre parzialmente il contenuto glutinico e di conferire maggior digeribilità al pane. E’ di fondamentale importanza poi il contesto di lievitazione, ovvero la disponibilità di spazi adeguati e temperature idonee. In alternativa, suggerisce una lavorazione senza lieviti aggiunti e preferibilmente manuale, oppure il ricorso a mezzi meccanici che limitino al minimo la cessione di calore all’impasto. Consiglia, infine, la sosta delle forme su tessuti naturali di stoffa grezza o teli di canapa, affinché il pane possa respirare, raccomanda una cottura con forno a platea, cioè base riscaldata, che sia a legna, a gas elettrico e, per la conservazione suggerisce di utilizzare tessuti naturali di stoffa grezza o teli di canapa.

Quali riflessioni dunque può suscitare in un consumatore questo vademecum? Sicuramente che il pane è la base della nostra alimentazione e, in tutta la sua varietà di forme e composizioni, racconta la nostra storia ed entra quotidianamente nel nostro tessuto individuale e sociale. Perciò bisogna saperlo scegliere e gustare, evitando prodotti preconfezionati che contengono additivi e conservanti o quelli preimpastati, precotti, surgelati e sfornati caldi che andavano tanto fino a qualche tempo nei supermercati.

Magari si può accettare la sfida e provare la soddisfazione di fare il pane in casa. Per alcuni, e stanno crescendo, diventa una vera passione, un’attività creativa, che si rivela molto più facile di quanto si può credere. Si può cominciare con la miscela ai 7 cereali del “Molino Spadoni”, facilmente reperibile nei punti vendita della grande distribuzione: contiene tutti gli ingredienti necessari e basta seguire le semplici istruzioni sul retro della confezione. Da qui a ricercare le farine biologiche macinate a pietra per mantenere vitali tutte le proprietà nutritive, il passo è breve: quelle di “Alce Nero”, di “Antico Molino Rosso”, e quelle biodinamiche con il marchio “Demeter” distribuite da Ecor (normalmente vendute nei biosupermercati. Ci si può sbizzarrire, provando diverse miscele e aggiungendo all’impasto semi e ingredienti personalizzati secondo il proprio gusto, come i semi di girasole, un’ottima fonte di vitamine (in particolare quelle del gruppo B, che fanno bene al metabolismo e al sistema nervoso, la D utile per le ossa e la E antiossidante), o i semi di sesamo che rafforzano il sistema immunitario e sono ricchi di calcio, o i semi di lino che sono ricchissimi di preziosi Omega-3 per tenere sotto controllo il livello del colesterolo.

Gianni Minà e Erri De Luca alla Casetta Rossa, quartiere Garbatella, Roma

E per la cottura al forno? Se quello di casa non è proprio il più adatto allora ci si può rivolgere ai forni comunitari, di solito in terra cruda o in pietra, che si stanno diffondendo in tutta Italia e riscoprire anche il senso di comunità nel segno della sostenibilità ambientale e della filiera corta. Ci sono quelli moderni, costruiti di recente in argilla o mattoni e quelli di nuova generazione alimentati a pellet. E poi ci sono quelli antichi, restaurati, ripristinati e riaffidati alla collettività. Da quando – vuoi per la crisi, vuoi per il piacere di sapere di che farina è fatto il pane che si porta in tavola, vuoi per la rinnovata voglia di stare insieme – associazioni, centri sociali, amministrazioni comunali o semplici cittadini hanno deciso di riproporre un modello antico di aggregazione e cucina tradizionale. A Roma c’è il Forno popolare Garbatella che è stato inaugurato il 14 settembre 2013 grazie all’iniziativa del Collettivo di Casetta Rossa e del Collettivo P.A.N.E. Fin dall’inizio dell’attività intorno al Forno si è costituito spontaneamente un gruppo di panificatori e cittadini (il Gruppo Forno) che ora lo gestisce in collaborazione con Casetta Rossa. L’idea di auto-produrre il pane nasce dalla volontà di riscoprire e preservare il concetto di sostenibilità alimentare e di filiera corta. Il forno, costruito utilizzando le maestranze all’interno del gruppo e interamente dipinto a mano dall’artista Spentriu, è ormai una realtà molto apprezzata nel quartiere ed è anche un mezzo di autofinanziamento delle attività a favore del quartiere. Sono stati avviati anche i corsi per capirne di più di grani antichi, di biologico e di lieviti. In Via  Giovanni Battista Magnaghi 14, nella sede dell’Associazione di promozione sociale Casetta Rossa, il forno viene acceso ogni domenica alle 14.30 e chiunque può portare il proprio impasto e infornare, mentre scambia quattro chiacchIere e magari qualche ricetta. Nel Gruppo Forno sono transitate persone di ogni genere e provenienza. Esperti panificatori, architetti e ingegneri, disoccupati e impiegati statali, studenti e professori, geologi, artisti, musicisti, scrittori, casalinghe. Romani, abruzzesi, svizzeri, campani, marchigiani, libanesi, sudamericani, umbri, pugliesi, calabresi. Ognuno ha lasciato del suo. E ognuno, purché lo voglia, può e potrà ancora contribuire a tenere acceso questo fuoco.

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