Transizione circolare indispensabile per l’obiettivo di neutralità climatica

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La gestione delle risorse del pianeta e il cambiamento climatico non sono solo due delle grandi sfide che a livello globale abbiamo davanti, ma di fatto due facce della stessa medaglia.
E sempre di più, specialmente negli ultimi anni, abbiamo dati e scenari da parte della comunità scientifica nazionale e internazionale che proprio evidenziano il contributo della transizione circolare alla neutralità climatica e, soprattutto evidenziano il fatto che senza azioni di transizione circolare è impossibile (corsivo) raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica.
Alcuni dati. A fine 2019 la Ellen McArthur Foundation pubblica il rapporto su economia circolare e cambbiamento climatico e, dal punto di vista della stima delle emissioni globali si vede che circa il 55% di queste derivano da produzioni di energia e usi finali, ma il 45% deriva dalla produzione e dall’utilizzo dei prodotti e dalla gestione del territorio in tutte le sue componenti e questo 45% non è possibile affrontarlo in termini di riduzione con azioni di transizione energetica, ma va affrontato con azioni di transizione circolare in particolare, stima il rapporto, da potenziali contributi di azioni di ecoprogettazione, di recupero e riciclo oppure di rigenerazione di sistemi naturali in quattro settori chiave della nostra società stimando fino a una riduzione del 40% delle emissioni associate al settore dell’industria, stesso ordine di grandezza per quanto riguarda il settore dell’edilizia, con punte di circa il 50% per il settore dell’alimentazione, per arrivare a punte del 70% per il settore della mobilità.
Lo scorso anno l’Internation resource panel dell’UNEP pubblica il report 2020 sull’efficienza delle risorse e il cambiamento climatico, individuando sette azioni chiave di transizione circolare che possono contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni. In particolare indica l’ecoprogettazione, l’ecodesign, la sostituzione di materiale per esempio sostituira cemento e acciaio con legno e alluminio, la riduzione degli scarti della produzione, l’uso più intensivo di prodotti e servizi, cioè tutta la partita della cosiddetta Sharing economy, puntare decisamente su recupero e riciclo, sul remanifacturing e il riuso e sull’estensione del tempo utile di vita dei prodotti (obsolescenza programmata ndr). Il rapporto ci dice che puntando su una o più azioni combinate possono essere davvero notevoli i potenziali di riduzione delle emissioni per il 2050 che stima in due settori basilari quali l’edilizia e la mobilità. Per l’edilizia, sia in fase operazionale sia associata al ciclo dei materiali, con interventi di transizione energetica e l’azione combinata di cinque delle sette azioni chiave si potrebbe raggiungere valori tra il 30 e il 40% di riduzione per i Paesi del G7, tra il 50 e il 70% in China e in India entro il 2050. Scenario simile per la mobilità dove, in questo caso, i potenziali stimati per interventi di transizione circolare aggiuntivi al 2050 sono al 30% nei Paesi del G7 e intorno al 35% in Cina e India.
Un terzo rapporto internazionale pubblicato all’inizio di quest’anno dalla piattaforma Pace per l’accelerazione dell’Economia circolare, il Circularity Gap Report 2021, considera sei settori: ICT, salute, il consumo, la mobilità, alimentazione e edilizia: dallo studio emerge che senza azioni di transizione circolare non si riece a stare in un aumento della temperatura terrestre al di sotto dei due gradi: soltanto con interventi di transizione si riesce a contenere l’aumento di temperatura a 1,8 gradi.

I calcoli di ENEA per i settori del consumo e dell’alimentazione in Italia.
Per il consumo lo studio ha rivelato che passando dal consumo attuale di alluminio secondario che è al 70% a quello più intensivo del 90% si può essere in grado di abbattere fino al 54% le emissioni di CO2, che raggiungerebbero il – 79% se si raggiungesse il 100% di impiego dell’alluminio secondario.
Nel campo dell’alimentazione i calcoli basati su azioni nelle aree previste nella strategia UE “Farm to Fork” mostrano come agendo in una fase di prevenzione e di gestione dello spreco alimentare con il ricilo di scarti e residui organici siamo in grado, rispetto allo scenario attuale, di ridurre le emissioni del 40%; stesso valore di riduzione nel campo della produzione, per esempio dei concimi, con interventi di sostituzione di metà dei concimi minerali di sintesi oggi utilizzati. Margini del 25% di riduzione nella fase del consumo soltanto per il passaggio ad abitudini alimentari più sane e sostenibili.
Una riflessione importante: le tecnologie di transizione circolare sono tutte tecnologie esistenti e mature: si tratta di uno scenario che teoricamente non avrebbe un gap tecnologico da colmare, ma avrebbe certamente un gap politico: tutti e tre i rapporti citati degli ultimi due anni sono non solo d’accordo sulla valutazione dei contributi della transizione circolare rispetto alla neutralità climatica, ma tutti e tre presentano un forte richiamo alla politica globale, alla governance affinché sempre di più si mettano a sistema in relazione stretta le politiche e le strategie di transizione energetica con quelle di transizione circolare e le traducano in piani di azione opportunamente e adeguatamente finanziate. Di fatto l’Unione europea si pone come guida alla sfida a livello globale: il Green Deal, l’ambizione dichiarata della UE di diventare il primo continente a neutralità climatica entro il 2050, dovrebbe puntare con forza e decisione in investimenti nella decarbonizzazione e nell’economia circolare e avere come supporto il nuovo piano di azione della circular economy, che prevede anche come punto prioritario lo sviluppo di nuovi indicatori, inseriti in un nuovo quadro di monitoraggio in grado di valutare costantemente gli impatti e gli effetti delle politiche e delle misure messe in atto sul percorso verso la transizione circolare, di misurare la direzione in cui si sta andando e con quale velocità.

In Italia per quest’anno siamo ancora ai primi posti in Europa per la capacità della nostra economia in chiave di circolarità, che deriva anche da rendite di posizione dovuta alla tradizione del nostro Paese e dal nostro modo di fare impresa che è naturalmente vocato all’economia circolare.
Tuttavia, come evidenziato proprio nel rapporto del Circular Economy Network, bisogna fare attenzione perché si registra un rallentamento in questi anni.

L’Italia non deve perdere queste posizioni, ma implementarle: la piattaforma nazionale ICESP, che raccoglie gli attori dell’economia circolare italiana, indica 9 priorità e per ognuna 5 proproste immediatamente cantierabili e messe in corso in un momento in cui abbiamo un’opportunità unica ed eccezionale nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le ultime versioni del PNRR presentano luci ma purtroppo anche ombre per cui sono necessari obiettivi molto più ambiziosi di quelli presenti, sia dal punto di vista quantitativo degli investimenti allocati – investire nella transizione circolare soltanto il 2% del totale delle risorse può veramente farci perdere quest’occasione unica, sia da quello qualitativo cioè delle azioni da implementare: per esempio, sebbene il tema dei rifiuti sia cruciale, associare economia circolare e valorizzazione del ciclo dei rifiuti nel titolo della linea d’azione “economia circolare” è un errore concettuale e anche culturale perché dà l’idea fuorviante che la transizione circolare sia principalmente, se non esclusivamente legata ai rifiuti. Questo ci farebbe di fatto anche arretrare di molti anni rispetto al dibattito sviluppatto a livello nazionale e internazionale: la transizione circolare considera certamente importante il ciclo dei rifiuti, ma è molto di più. Altro punto riguarda gli impianti su cui investire che dovrebbero essere soprattutto indirizzati alla valorizzazione della materia anche perché la UE punta con decisione sull’aumento delle materie prime seconde da riutilizzare. Il tema, certamente prioritario dei biocombustibili potrebbe essere meglio inserito nell’altra componente di transizione energetica, liberando le poche risorse allocate sulla transizione circolare per puntare alla circolarità dei cicli produttivi e soprattutto a quelli delle piccole e medie imprese che, peraltro, è fondamentale supportare direttamente. Grazie alla specificità del sistema produttivo italiano non funzionerebbe puntare principalmente sulla grande impresa per sfruttare l’effetto leva e traino sull’intero sistema produttivo come potrebbe accadere in altri Paesi. Per ottenere risultati apprezzabili sarebbe utile offrire strumenti, che puntino a sistemi di circolarità integrata, alle realtà imprenditoriali più modeste e molto più numerose.

3° RAPPORTO SULL’ECONOMIA CIRCOLARE I N I TALIA – 2021
L’Italia conserva tra le principali economie dell’Unione Europea la medaglia d’oro per l’economia circolare ma questo primato è a rischio. Nella produzione circolare il nostro Paese ottiene 26 punti, con un distacco di 5 punti dalla Francia. Rispetto al 2020 l’Italia è stabile al primo posto ma senza miglioramenti significativi, al contrario, la Francia nello stesso periodo cresce di 1 punto. Il vantaggio si accorcia. Vediamo perché attraverso alcuni dati.

Quota di riciclo complessiva
Italia: 68%
media europea: 57%

Tasso di uso circolare di materia
Italia: 19.3 %
media europea: 11,9%

di Paolo Serra

23 marzo 2021

Fonte: Conferenza Nazionale sull’economia circolare: “Economia circolare e transizione alla neutralità climatica” – Intervento di Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali Enea Roberto Morabito; Presidente ICESP
Credits: Conferenza Nazionale sull’economia circolare: “Economia circolare e transizione alla neutralità climatica” – Slides di Edo Ronchi, Presidente Circular Economy Network

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