Rapporto 2022 sull’economia circolare in Italia – A livello globale l’economia circolare non progredisce, rallenta: il consumo di materie prime è in continuo aumento. In questo contesto – segnato anche da drammatiche tensioni internazionali – l’Italia tiene e si conferma tra i Paesi più virtuosi, ma è ancora lontana dall’obiettivo di disaccoppiare crescita e consumo di risorse.

Molte materie prime mancano e, quando si trovano, i prezzi vanno alle stelle. Le responsabilità sono varie: l’aumento della domanda, che è crescente; la crisi climatica, che diminuisce la capacità degli ecosistemi di offrire risorse e aumenta alcuni bisogni; la pandemia, che ha imposto una lunga battuta d’arresto all’economia globale; il conflitto in Ucraina, che ha esasperato la fragilità energetica dell’Europa. C’è più che mai bisogno di economia circolare, ma ancora non decolla. Questo Rapporto sull’economia circolare in Italia, realizzato dal Circular Economy Network in collaborazione con ENEA, fa il punto della situazione che nel 2022 sta segnando le sorti geopolitiche ed economiche europee. La sfida è sostenere la ripresa e diminuire il consumo di risorse. L’Unione Europea e l’Italia stanno accelerando in questa direzione?
In estrema sintesi, la prima notizia che emerge non è positiva: l’obiettivo del disaccoppiamento tra crescita e consumo di risorse in Italia non è stato raggiunto: la ripresa economica del 2021 ha trainato un analogo aumento del consumo di risorse. Però, pur con queste difficoltà, emerge anche un dato positivo. L’Italia rimane un passo avanti rispetto ai suoi competitor europei: è al primo posto, assieme alla Francia, nella classifica delle 5 principali economie europee. Nel 2020 il tasso di utilizzo circolare della materia nell’Unione Europea è stato pari al 12,8%: l’Italia è arrivata al 21,6%.

La sfida è disaccoppiare crescita e consumo di risorse: a che punto siamo?
Il momento particolare è drammatico per gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi due anni e che continuano a tenerci con il fiato sospeso. La gravità dei fatti accaduti – prima la pandemia, poi l’invasione dell’Ucraina – producono pesanti contraccolpi economici, le cronache ci mostrano che siamo di fronte a un rialzo dei prezzi di diverse materie prime – e, per alcune di queste materie, anche a difficoltà e ritardi nelle forniture che stanno causando rilevanti ostacoli alle attività di non poche imprese. Certamente i problemi creati dal Covid-19 e dalla drammatica crisi ucraina sono una causa importante di questa situazione, importante ma non esclusiva: questo è il punto che molti governi hanno mancato di sottolineare. Le difficoltà economiche che viviamo non sono solo legate alla congiuntura: rappresentano anche l’indicatore di una tendenza di fondo, strutturale, da non sottovalutare in un contesto di sviluppo globalizzato caratterizzato da una domanda crescente di materiali disponibili in quantità fisicamente limitate sul nostro Pianeta. La dinamica degli eventi economici lo prova. Passato il momento più acuto della pandemia, l’economia globale ha provato a ripartire seguendo la vecchia logica lineare. Così il picco improvviso di richieste di materia ha innervosito i mercati, ha creato incertezza, ha spinto gli operatori a cercare di accumulare scorte. Si è creato un circolo vizioso tra la domanda inevasa e la crescita di nuova domanda: la mancanza delle forniture ha spinto ad aumentare le richieste rendendo sempre più ampia la distanza tra domanda e offerta. Il risultato, a fronte di un sistema estrattivo che in molti casi è già andato oltre il limite fisico dettato dalla necessità di tenuta degli ecosistemi, è stato la difficoltà di rifornimento che ha innescato una spirale inflattiva.
Dunque il problema che ha caratterizzato la crescita del 2021 non è stata la quantità ma la qualità. I numeri contenuti in questo Rapporto mostrano come le maggiori difficoltà dell’economia italiana (e non solo) siano legate a politiche che hanno sottovalutato le potenzialità e la necessità strategica di un robusto rafforzamento del Paese nel campo dell’economia circolare. Nel 2021 il rimbalzo dell’economia è stato molto più positivo delle aspettative, con una crescita del PIL italiano del 6,6% rispetto al 2020. Ma, inserita nel vecchio modello di economia lineare, questa crescita è andata a sbattere contro il muro della carenza di materie prime. In buona sostanza quello che è mancato è stato il disaccoppiamento tra crescita del PIL e uso di materie prime. Uno slancio consistente e tecnologicamente maturo in direzione dell’economia circolare avrebbe potuto creare un secondo, ampio mercato per le materie necessarie alla ripresa, evitando la crisi che stiamo vivendo e che rischia di protrarsi. Ma questo slancio non c’è stato. Per questo oggi è importante sottolineare l’importanza del disaccoppiamento della crescita economica dal consumo delle materie prime vergini, che è l’obiettivo strategico dell’economia circolare e del Green Deal europeo. La conversione verso modelli di produzione e di consumo circolari è sempre più una necessità non solo per garantire la sostenibilità dal punto di vista ecologico, ma per la solidità della ripresa economica, la stabilità dello sviluppo e la competitività delle imprese.
Consumi ed economia circolare: i numeri
Il tasso di circolarità globale scende. Il problema non è solo italiano. A livello globale i numeri sono chiari e indicano che abbiamo sbagliato strada: siamo tornati indietro. Tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità è sceso dal 9,1% all’8,6% (Circularity Gap Report). Questo andamento negativo dipende dall’aumento dei consumi, che negli ultimi cinque anni sono cresciuti di oltre l’8% (da 92,8 a 100,6 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,6 miliardi di tonnellate). In pratica, sprechiamo ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi. Per creare beni e servizi è stato dunque sfondato il muro dei 100 miliardi di tonnellate di materie prime consumate in un anno e più della metà di questa enorme massa di materiali è stata impiegata per creare prodotti di breve durata. Recuperiamo meno del 9% del mare di risorse che ogni anno strappiamo alla Terra. Per di più l’uso di materiali sta accelerando a una velocità superiore alla crescita della popolazione: stiamo cioè andando – a livello globale – in direzione opposta a quella indicata dal Green Deal. Dal 2015 al 2021 i consumo di materiali è cresciuto di circa il 13%, più della crescita della popolazione che è stata dell’8% e poco meno della crescita annua del PIL mondiale del 2,2% a fronte di una crescita annua del consumo di materiali dell’1,9%. Nello scenario «business as usual», entro il 2050 consumeremo tra le 170 e le 184 Gt di materiali ogni anno.
In media in Europa nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Ma tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi di questo Rapporto (Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna) le differenze sono consistenti: si va dalle 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia. La Germania è a quota 13,4 tonnellate, la Francia a 8,1, la Spagna a 10,3. Nel 2020 per nessuno dei cinque Paesi europei esaminati si è registrato un incremento nella produttività delle risorse. In Europa nel 2020, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate sono stati generati 2,1 euro di PIL. L’Italia è arrivata a 3,5 euro di PIL (il 60% in più rispetto alla media UE). In Italia la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha raggiunto quasi il 68%: è il dato più elevato dell’Unione europea. Tra le cinque economie, l’Italia è quella che al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%. Ci sono invece settori in cui l’Italia è in netta difficoltà. Uno è il consumo di suolo che ci vede penultimi con il 7,1% coperto da superfici artificiali, seguiti solo dalla Germania con il 7,6% contro il 3,6% della Polonia. Anche per l’ecoinnovazione siamo agli ultimi posti: nel 2021 dal punto di vista degli investimenti in questo settore l’Italia appare al 13° posto nell’UE con un indice di 79. La Germania è a 154. Infine la riparazione dei beni: in Italia nel 2019 oltre 23.000 aziende lavoravano alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali. In questo settore abbiamo perso quasi 5.000 aziende (circa il 20%) rispetto al 2010.
Facendo le somme risulta che l’Italia e la Francia sono i Paesi che fanno registrare le migliori performance di circolarità, totalizzando 19 punti ciascuno. In seconda posizione, staccata di tre punti, si attesta la Spagna con 16 punti. Decisamente più contenuto è l’indice di performance di circolarità della Polonia e della Germania che ottengono, rispettivamente 12 e 11 punti.

Fonte: Rapporto 2022 sull’economia circolare in Italia – Circular Economy Network
Le proposte del Circular Economy Network
Anticipare quanto è subito praticabile delle proposte della Commissione europea, presentate lo scorso 30 marzo, relative a:
– i nuovi requisiti per rendere i prodotti più circolari più durevoli, affidabili, riutilizzabili, aggiornabili, riparabili, più facili da mantenere, ristrutturare e riciclare ed efficienti dal punto di vista energetico;
– l’estensione del l’attuale quadro di ecodesign ad una più ampia gamma di prodotti e suo rafforzamento;
– l’introduzione di nuove regole per responsabilizzare i consumatori con una migliore informazione;
– la definizione di una strategia per garantire che i prodotti tessili , siano durevoli e riciclabili e fatti il più possibile di fibre riciclate;
– la revisione delle norme sui prodotti da costruzione per renderli più durevoli, riparabili, riciclabili e più facili da rifare.
Utilizzando al meglio la spinta delle riforme e dei finanziamenti del PNRR è necessario orientare allo sviluppo dell’economia circolare, le agevolazioni previste da Transizione 4.0 per l’ecodesign, la durabilità e la riparabilità, la simbiosi industriale, il riciclo e il riuso, il prodotto come servizio, lo sviluppo della bioeconomia circolare e rigenerativa.
End of Waste. Occorre garantire tempi brevi per il riconoscimento della fine della qualifica di rifiuto per numerose tipologie di materiali prodotti nella filiera del riciclo e per accelerare i procedimenti autorizzativi degli impianti e del loro esercizio.
Anche per contenere gli impatti dei forti aumenti dei costi energetici, sarebbe utile incentivare, con effettive e drastiche semplificazioni autorizzative, con tempi stretti prefissati e non superabili, l’installazione di impianti a fonti rinnovabili di energia negli impianti di riciclo.
Un’ultima considerazione: i materiali rappresentano oltre il 40% dei costi di produzione delle imprese manifatturiere nell’UE. Il nuovo pacchetto di misure della UE entro il 2030 può portare a risparmi finanziari di almeno 600 miliardi di euro per le imprese dell’UE e ad un risparmio annuo di 60 miliardi di euro sulla spesa dei consumatori, fino ad arrivare nel 2030 a 118 miliardi di euro.
di Paolo Serra
6 aprile 2022
Fonte: Rapporto 2022 sull’economia circolare in Italia – Circular Economy Network
Economia circolare