Mai come in questi ultimi due anni abbiamo atteso le vacanze: sole, spiagge, mare o montagna. E per esporsi ai raggi solari sappiamo tutti quanto sia importante la protezione. Tuttavia alcuni ingredienti contenuti nelle creme protettive causano danni gravissimi agli ecosistemi marini. Ma quali sono queste sostanze? Che impatto hanno sull’ambiente? Quali sono le alternative?

I filtri solari utilizzati nelle creme protettive possono essere di due tipi. Composti organici (che contengono carbonio legato ad altri elementi come idrogeno e ossigeno), come l’acido amminobenzoico (se nell’INCI, International Nomenclature Cosmetics Ingredients, che dichiara i componenti di una crema trovate la sigla PABA, si tratta di questo composto); oppure inorganici, come l’ossido di titanio o di zinco, usati nei prodotti minerali.
Questi composti hanno la funzione di schermare dai raggi ultravioletti, in particolare i raggi UVB. Il fattore di protezione (SPF, solar protector factor) si riferisce infatti solamente agli UVB, che rappresentano circa 5% dei raggi ultravioletti che arrivano sulla superficie terrestre. Non ha nulla a che fare con il restante 95%, rappresentato dai raggi UVA.
I raggi UVB, che raggiungono solo gli strati più superficiali della pelle provocando le “scottature”, sono da sempre l’obiettivo principale della protezione della pelle. Ma sono gli UVA a penetrare più in profondità. Questi, raggiungendo il derma, provocano la produzione di radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento cutaneo e di mutazioni genetiche: quindi, potenzialmente, di tumori della pelle. Affinché una crema solare sia efficace anche contro gli UVA, deve contenere dei filtri specifici e questo deve essere indicato sulla confezione.
Le sostanze dannose per l’ambiente. Già nel 2014 un team di scienziati internazionali ha pubblicato una ricerca su Ecotoxicology (C. K.-W. Downs 2014), che evidenziava la tossicità di un composto chiamato Ossibenzone (o BP-3 che si trova in più di 3.500 prodotti per la protezione solare in tutto il mondo) per le forme giovanili dei coralli (le planule, le loro larve) e molte altre forme di vita marina dal fitoplancton ai pesci, inclusi quelli che troviamo nei fiumi europei e nel nostro Mar Mediterraneo. Ad esempio, prodotti solari contenenti ossibenzone, omosalato e conservanti possono causare alterazioni nello sviluppo del riccio di mare causando anomalie nei suoi embrioni e larve. E c’è dell’altro: non solo octinossano e ossibenzone ma anche altri ingredienti come l’enzacamene e conservanti come i parabeni possono causare il completo sbiancamento dei coralli, anche a bassissime concentrazioni (una frazione di goccia per litro di acqua di mare).
Nella composizione delle creme solari sono presenti anche fragranze, conservanti o altri eccipienti che vanno a finire in mare insieme ai filtri UV, per i quali tuttavia gli effetti restano ancora in gran parte inesplorati. Oltre all’Ossibenzone e all’Octinoxate ci sono la Canfora di 4-metilbenzilidene e l’Octocrylene.
Il problema dell’inquinamento da creme solari è globale: secondo la UNWTO (World Tourist Organitation) solo nei mari tropicali vengono rilasciate dalle 6.000 alle 14.000 tonnellate di creme l’anno che raggiungono le barriere coralline. La situazione nel Mediterraneo è meno studiata, ma un recente studio dell’Università di Cantabria aveva notato un innalzamento del livello di alcuni metalli (il titanio fino al 20%) nelle acque dopo una giornata affollata di bagnanti su una spiaggia spagnola.
Dopo le isole Hawaii, i Caraibi, il Messico e alcuni piccoli stati insulari dell’Oceano Indopacifico, anche la Tailandia ha messo al bando (alcune) creme solari sul proprio territorio e ha stabilito multe fino a 2500 euro per chi usa prodotti contenti le sostanze vietate.
Le alternative ci sono: protezioni sostenibili. Per essere efficace, la crema solare deve riuscire a intercettare le radiazioni nocive. Se le sostanze che fanno da filtro sono quelle più rischiose per il mare, la soluzione è allora usare pochi filtri, con una formula “semplice” ma innovativa perché usa oltre a quelli principali anche nuovissimi filtri complementari di ultima generazione in grado di intercettare tutte le radiazioni dannose dello spettro solare. Massima protezione anti-età e anti-macchie dunque rispettando il mare.
I solari devono essere water resistant ovvero resistenti all’acqua, quindi capaci di rimanere di più sulla pelle e proteggere dopo un bagno senza disperdersi in acqua. Questa capacità si è affinata nei solari più nuovi che sono addirittura Very Water Resistant. Oltre che water resistant i solari ocean friendly hanno anche un’altra qualità che può sembrare opposta: sono biodegradabili. Non rimangono quindi per tempi lunghi nell’ambiente marino: vengono attaccati da batteri che li scindono nelle loro componenti, non nocive per l’ecosistema. Un prodotto viene considerato biodegradabile se viene degradato in 10 giorni del 60%: una buona percentuale che però in alcune formulazioni sale addirittura al 100% in un mese. In pratica nulla o quasi rimane nell’acqua del mare.
Se l’anima delle creme solari biologiche è etica anche gli ingredienti hanno un’impronta naturale. Molti degli ingredienti usati nelle creme solari ocean friendly sono di origine vegetale che arrivano da filiera controllata, biologici e a volte anche da coltivazioni artigianali e locali. Fra quelli più usati ci sono: la frutta estiva fra cui in particolare l’albicocca, ricca di vitamine protettive A ed E, uno dei più conosciuti alimenti salva-abbronzatura; i grassi vegetali come il burro di karitè, l’olio di girasole e l’olio di riso: sono altamente emollienti, nutritivi e riparatori, contrastano l’impoverimento e la disidratazione dovuta all’esposizione solare, la melagrana anti-age e anti-ossidante, un vero superfood anche quando viene usato nei cosmetici e ingrediente privilegiato nelle creme anti-age; l’olio ricavato dai semi di canapa che ha effetto antiossidante e anti-radicali liberi. e infine il gel di aloe vera ad azione riparatrice.
E visto che ci siamo consideriamo anche le confezioni dei solari, anche quelli sostenibili: meno plastica monouso (fino al 45 % rispetto alle confezioni classiche), più confezioni in materiali di origine vegetale riciclabile al 100% come la bioplastica PHAs.
Perciò Occhio all’Etichetta!
di Redazione
10 luglio 2022
Scelte sostenibili