
Le fave (Vicia Faba) sono un legume antichissimo. Si dice che fossero precedenti a Demetra (divinità della religione greca, figlia di Crono e Rea, che presiedeva la natura, i raccolti e le messi), intendendo con ciò che fossero conosciute già dalle culture precerealicole ed in questo senso le fave hanno assunto un significato loro particolare: essendo considerate come carne vegetale, rappresentavano il corpo sanguigno. Le fave insomma erano frutti del corpo: cibarsi di fave era come nutrirsi di carne e sangue, come bestie feroci.
Sembra che siano gli unici legumi che Demetra (lei e la figlia Persefone erano intimamente connesse con la religione misterica) non portò in dono ai Fenati quando giunse nella loro città, aveva escluso le fave da tutti i riti che la riguardavano e vietate ai sacerdoti di Eleusi. Anche i pitagorici e gli orfici le escludevano dalla loro dieta perché portavano un “sacro segreto“. Quale fosse questo segreto si può solo congetturare.
Questi legumi appartengono ad un mondo mistico preculturale: già 8 o 10 mila anni prima di Cristo si consumavano fave ed esse rientravano anche in alcuni riti preellenici di cui ci sono giunte delle eco.
Le fave andavano a comporre corredi funebri e venivano usate come mezzi divinatori che basavano i propri responsi su principi di casualità o caoticità e vennero quindi esclusi nelle culture più positiviste e razionali dei secoli successivi. Subirono quindi un processo di esclusione dal divino diventando l’origine ed il seme del “Terreno”, del “Materiale”. Questa loro caratteristica si tramandò nei secoli ed esse vennero usate ad esempio nelle votazioni o in alcune tradizioni come tombole di estrazione, di casualità.
In Sicilia chi voleva maritarsi nascondeva tre fave sotto il cuscino; una intera, una spogliata del tegumento esterno ed una morsicata ed al mattino ne estraeva una, quale avesse estratto vaticinava il tipo di matrimonio che le sarebbe toccato in sorte: ricco, povero o mediocre.
In Francia esisteva la tradizione della “galette des rois” in cui una fava nascosta nell’impasto delle gallette toccava in sorte ad un “re per un giorno” che aveva il diritto di eleggere la sua consorte e avrebbe ottenuto fortuna salute e saggezza per un giorno appunto. Da qui nasce il detto “trovare la fava nel dolce” con il duplice significato di, fare una scoperta geniale ed anche un affare redditizio.

L’uomo, che coltiva le fave fin dall’età del bronzo, proprio dalle fave ha appreso l’utile pratica del sovescio: l’uomo si è accorto che interrando le parti verdi della pianta alla fine della raccolta si otteneva una crescita piu rigogliosa ed un miglior raccolto l’annata successiva e cominciò a praticare questa tecnica sistematicamente.
Le fave infatti, come tutte le leguminose, sono in grado, grazie ad una simbiosi radicale, di fissare l’azoto atmosferico e di incorporarlo ai suoli e rappresentano il miglior mezzo per l’ingresso di questo importantissimo elemento all’interno dei cicli biologici. L’azoto costituisce il 78% della composizione dell’aria che respiriamo ed è il quarto elemento per abbondanza nel nostro corpo di cui ne costituisce circa il 3%. É fondamentale perché partecipa alla composizione del DNA e delle proteine. ma noi non lo possiamo utilizzare direttamente nella sua forma gassosa.
Alcuni batteri presenti nelle radici delle leguminose possono ridurre l’azoto atmosferico (N2) e trasferirlo al suolo rendendolo assimilabile dalle piante e permettendone l’ingresso nella catena alimentare.
Per questo la coltivazione delle fave è tra le più sostenibili oggi conosciute, in virtù delle sue scarsissime necessità in termini di terreno, del ridotto fabbisogno idrico e della resistenza a parassitie malattie.
Massimo Luciani – Etnobotanica
6 aprile 2023
Storie di alberi e piante